L’eterno contrasto tra nomos e dike (ovvero la funzione dialogica del diritto)

Alessia Meloni

Abstract


Molte sono le cose straordinarie, ma nulla esiste di più straordinario dell’uomo […]
E apprese la parola e il vento del pensiero e l’impulsi del vivere civile […].
Oltre ogni speranza signoreggia l’intelligenza che escogita risorse.
Sofocle, Antigone, 332,355,366.
Quando ci si confronta con le norme riemerge sempre l’inevitabile contrasto
, con il
quale fanno i conti tutti gli operatori di giustizia.
Non vi è dubbio che un giusto processo deve potersi articolare in un discorso di
giustizia, intesa come “pensare insieme”, nel quale la legge non si configura come un
dominio chiuso, ma esprima il desiderio di trascendersi verso una giustizia.
La storia ci ha insegnato che identificare la legge con la giustizia ha portato a immani
tragedie nella storia umana. Si pensi alle leggi razziali.
Ed il rischio, che si corre, è che si intenda la legge es
clusivamente come controllo
esercitato dall’autorità, senza più anelito alla idea di giustizia.
La legge come nomos, esercizio di autorità, amministrazione di un potere.
L’articolazione della legge
fonda un fatto, che può essere un evento buono , ma anche
cattivo, ma resta un fatto, limitato, circoscritto, definito.
L’idea della giustizia stride però con questa fattualità, perché il fatto non può avere
valore universale.


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